Leggendo…
‘Congo. La mia esperienza’ di Simona Cusini. 2-14 maggio 2013
In questo periodo nel quale un virus ci spaventa, abbiamo trovato un libro che parla di chi ha la lotta contro la malattia come pane quotidiano, e non da oggi.
In questo periodo nel quale un virus ci costringe a restare a casa – e speriamo che nessuno sia tanto sciocco ed egoista da non comprenderne la necessità – abbiamo trovato un libro che ci porta lontano.
A noi è piaciuto soprattutto il punto di vista di Simona, la sua voglia di dare una mano con umiltà. E la totale assenza di quel fastidioso buonismo di chi pretende che i poveri abbiano anche il dovere di essere giusti.
«Ci sono Paesi dove perfino la povertà è un lusso e i governi chiudono gli occhi per non vedere cosa davvero succede nelle periferie. Questo è ciò che accade in Congo, lo Stato più ricco [di materie prime, NdS!] dell’Africa dove, però, le persone possono solo sopravvivere». [Dalla quarta di copertina]
«Mentre il rombo del motore mi spacca i timpani, guardo le casette degli abitanti del posto – tutte basse, con qualche lamiera ondulata sul tetto – e non posso fare a meno di pensare alla temperatura interna. Osservo la confusione della gente che cammina avanti e indietro senza rispettare il traffico e chi è alla guida non solo deve stare attento a non investire i pedoni, ma deve anche avere un occhio di riguardo per le caprette, le galline e gli altri animali che passeggiano indisturbati». [p. 20]
«In Congo la disoccupazione è pari al 94%, la gente vive nella miseria più assoluta, arrangiandosi come può e mangiando erbette bollite e il luko – una polenta locale alquanto insipida. Di conseguenza, regnano povertà, analfabetismo e ignoranza, che forgiano un popolo facilmente condizionabile dalle superstizioni. Solo il restante 6% è formato da famiglie ricche, che non si fanno mancare nulla. Eppure vivono tutti nella stessa nazione, parlano tutti la stessa lingua, si chiamano fratelli e predicano nello stesso modo». [p. 23]
«Sono più di duemila gli studenti che tutte le mattine fanno quasi due ore di viaggio per arrivare a scuola. Zia Meli ci ha lavorato per anni: durante le lezioni faceva delle visite inaspettate ai professori, per controllare il loro operato. In generale, infatti, il popolo congolese è scansafatiche e va tenuto sotto pressione. Da quanto ci racconta, non solo ha poca voglia di fare, ma ha anche poca iniziativa». [p. 27]
«Camminiamo sotto la pioggia fino all’ospedale, un istituto sottodimensionato, con due o tre malati per ogni letto. Nei corridoi, una fila interminabile di persone in attesa del proprio turno. I medicinali e le flebo non sono abbastanza per tutti. […] I malati arrivano in ospedale quando la malattia è già a uno stadio terminale. È un’eterna lotta contro la morte. Ogni giorno ci vogliono quasi cinquanta trasfusioni per combattere la malaria che, in Congo, pullula, insieme a febbre gialla, tubercolosi, AIDS e tifo». [p. 28]
«“Lo Stato c’è solo all’apparenza.” Zia Meli s’intristisce. “Lascia sfruttare le ricchezze del sottosuolo alle nazioni più potenti, permettendo loro di prelevare oro, coltan, petrolio e acqua. E nonostante questo non fornisce elettricità e acqua al suo popolo. Tutti hanno la sensazione che il governo voglia tenere il popolo nell’ignoranza, in uno stato primitivo, di costante bisogno. Il presidente è molto autoritario, nessuno osa andargli contro. L’immagine del Paese è tutto, la povera gente non ha volto. Se da una parte si tende a rendere il Paese moderno, dall’altra non ci si pone la questione di chi potrà utilizzare questa tecnologia, visto che tra la maggioranza regna l’analfabetismo, l’ignoranza e la fame. Molte volte, e senza preavviso, arrivano gli ispettori a fare sopralluoghi nell’ospedale della missione, perciò le suore non possono permettersi di avere qualcosa fuori posto, altrimenti scattano le sanzioni, che si aggiungono alle tasse”». [p. 29]
«E se dopo aver letto questo breve diario di viaggio a te, lettore, verrà voglia di partire alla volta di questo Paese assurdo e meraviglioso, fallo. Perché andare in missione non è un dovere, ma una scelta». [Ancora dalla quarta di copertina]
Un breve profilo del Paese realizzato dalla Treccani.
Ma se a dire che "Il Congo potrebbe essere un paradiso terrestre, e invece è un inferno", è un giornale come Avvenire, forse c'è da crederci.
Non è solo Simona, non è solo Avvenire, a dirlo.
«IT’S NOT EASY BEING HAPPY»
Reading…
“Congo. My experience” by Simona Cusini, May 2nd-14th, 2013
In this time when a virus is so scary to us, we found a book talking about those that fight illness daily, and have for a long time.
In this time when a virus is forcing us to stay home – hopefully no one is so foolish not to understand its necessity – we found a book carrying us far away.
We especially liked Simona’s point of view, her desire to be helpful with humility. And the complete absence of that annoying tendency of those demanding that poor people also be righteous people.
«There are countries where even poverty is a luxury and governments turn a blind eye to what really happens in the outskirts. This is what happens in Congo, the richest country [in raw resources, NdS] in Africa, where, however, people can only barely survive». [Excerpt from the back cover]
«As the rumble of the engine deafens me, I look at the little houses of the locals – low, with wavy metal sheets as ceiling – and can’t help but think of the temperature inside. I observe the confused flux of people, walking without paying attention to traffic, and the drivers have to pay attention not only not to run someone over, but also to goats, chickens and other animals that are walking around unfazed». [p.20]
«In Congo, the unemployment rate is 94%, people live in absolute misery, struggling to get by and eating boiled plants and luko, a bland local version of grits. Therefore, poverty, illiteracy and ignorance reign free, making up a population that is easily swayed by superstition. The remaining 6% is made of rich families, who can afford everything they desire. Despite this, they all live in the same country, speak the same language, call themselves brothers and preach in the same way». [p.23]
«There are more than two thousand students travelling for almost two hours each morning to get to school. Aunt Meli worked there for years: she would make surprise visits to professors during classes, to check on their work. In general, in fact, Congolese people are lazy and has to be kept under pressure. From what she tells us, not only they lack in motivation, but in initiative as well». [p.27]
«We walk under the rain up to the hospital, a building on the smaller side, with two or three patients on every bed. In the corridors, an endless line of people waiting for their turn. Medications and IVs are not enough for everybody. […] Sick people come to the hospital when the illness is already in a terminal stage. It’s an endless fight against death. Every day, almost fifty transfusions are needed in order to fight malaria, which proliferates in Congo, along with yellow fever, tuberculosis, AIDS and typhus fever». [p.28]
«“The government is present only at first sight”. Aunt Meli saddens. “It lets more powerful nations exploit the underground riches, allowing them to mine gold, coltan, oil and water. And despite this it doesn’t provide electricity and water to its population. Everyone constantly feels like the government wants to keep the people ignorant, in a primitive state of constant need. The President is very authoritative, no one dares opposing him. The country’s image is everything, the poor people have no voice. If on one hand the government tend to modernize the country, on the other there isn’t much questioning about who will be able to use this technology, as among the majority illiteracy and famine reign”. Often, without a warning, inspectors will come to check the Mission’s hospital, therefore nuns can’t afford to have something out of place, otherwise they have to pay fines, in addition to taxes». [p.29]
«And if, after reading this travel diary, you as a reader will feel like leaving to this absurd and marvellous country, do it. Because the Mission is not an obligation, it’s a choice». [Second excerpt from the back cover].
A Congo country profile.
Human rights watch.
Kommentare