Ricordando...
Anno 2018/2019, sede secondaria, aprile
È sera quando una mia collega, che già conosci come Ned Flanders, mi invia questo messaggio:
“Ieri mi ha telefonato il responsabile della comunità [Taverna di Boe Szyslak]. Mi ha detto che [Patty Bouvier] ha dichiarato a nome della scuola che tre MSNA [Minori Stranieri Non Accompagnati] non saranno ammessi all’esame di fine anno. Io sono caduta dal pero. Tu ne sai qualcosa? A me risulta che dobbiamo ancora discuterne, tutti insieme noi insegnanti. E francamente io non vedo motivo per non ammetterli, visto che hanno dei buoni voti e si comportano abbastanza bene”.
No, non ne so niente. E no, neanche secondo me ci sono ragioni didattiche o comportamentali che giustifichino la loro non ammissione all’esame.
Dunque, Patty Bouvier ha stabilito in autonomia quella che avrebbe dovuto essere una decisione collegiale, discussa da tutti noi insegnanti. E ha comunicato la decisione alla comunità di accoglienza che ospita gli studenti, senza avvisare né me né le altre colleghe. Ha telefonato in comunità spiegando che a causa della mancata ammissione all’esame a partire da domani i ragazzi non saranno più ammessi alla frequenza delle lezioni nella nostra scuola.
Per fortuna il responsabile della comunità, saputa la notizia, ha ritelefonato a scuola chiedendo che i ragazzi, nonostante la bocciatura già stabilita, fossero almeno ammessi alla frequenza delle lezioni.
Se il responsabile (che chiamerei Reverendo Lovejoy) non avesse chiamato, prendendosi uno scrupolo personale, oppure se a rispondere alla telefonata fosse stata Patty anziché Ned Flanders, i ragazzi non sarebbero più venuti a scuola e noi non ne avremmo mai saputo il perché.
Mi chiedo quante altre volte Patty Bouvier abbia preso un’iniziativa simile a questa. Ogni anno un numero non trascurabile di studenti smette di frequentare la nostra scuola in primavera. Mentre la vita della natura sboccia, la loro appassisce. Da un giorno all’altro scompaiono, semplicemente. Si perdono, come schiuma nel mare quando le onde si infrangono sugli scogli. Chissà dove finiscono, chissà cosa fanno, chissà perché si rendono irrintracciabili. Già, chissà perché.
L’informazione data da Patty alla comunità d’accoglienza è che i tre ragazzi non saranno più ammessi alla frequenza delle lezioni. Vogliamo provare a immaginare cosa ne sarebbe stato di loro se il Reverendo Lovejoy non si fosse preso la briga di verificare quest’informazione?
È appena il caso di ricordare che stiamo parlando di tre minorenni stranieri non accompagnati. Vogliamo provare a immaginare cosa ne sarebbe stato di loro?
Avrebbero smesso di venire a scuola, ovviamente. Noi insegnanti avremmo quindi dovuto denunciare alla Prefettura la loro decisione di rinunciare alla frequenza dei nostri corsi e probabilmente la Prefettura avrebbe ingiunto alla comunità Taverna di Boe di espellerli: lo studio è infatti condizione vincolante per usufruire del diritto all’accoglienza in quella comunità.
Oggi avremmo tre ragazzi minorenni, soli, dispersi nella nostra città, senza un posto dove vivere né un titolo di studio per trovare lavoro. Senza prospettive.
Nei giorni successivi, il Reverendo Lovejoy ha riferito che i ragazzi lamentano spesso che Patty urla e li umilia di fronte ai compagni anche con pesanti frasi razziste, tentando forse di provocare da loro una reazione aggressiva che li costringa dalla parte del torto. Questo è un di più, superfluo: io non credo sia necessario renderli arrabbiati e incattiviti. La necessità di sopravvivere da soli in un Paese straniero è sufficiente a portarli verso una strada che non esito a definire pericolosa (pericolosa per loro, per noi, per tutta la società).
Bastava pochissimo. Vite rovinate da una telefonata, quella fatta da Patty Bouvier. Per fortuna, vite che sono state invece salvate da un’altra telefonata: quella fatta dal responsabile della comunità. Bastava pochissimo. È bastato pochissimo. A volte, davvero basta pochissimo.
Mi chiedo quali considerazioni professionali abbiano spinto Patty a innescare una tale catena. Perché lo ha fatto? Per evitare la fatica di correggere tre esami in più? Forse lo stipendio statale che riceviamo noi professori non è sufficiente a far venire voglia di non spezzare quella sottilissima linea che separa i nostri studenti dal buio della solitudine, della delinquenza e della clandestinità?
Si tratta di considerazioni professionali, appunto. Ma ci sono anche considerazioni che sono più immediate, meno accademiche ma non meno accurate. Sono le considerazioni di uno di questi tre ragazzi, che incontro la mattina dopo mentre per fortuna – una parola più che mai fatalmente precisa: fortuna – sta entrando a scuola.
Mi pone una domanda.
“Ma perché non mi vuole?”
Non mi vuole. Perché?
Speravo che il ragazzo sarebbe passato immune dal terremoto che lo ha sfiorato. Speravo non si accorgesse di nulla, che non capisse, che non sapesse. Invece lui si è accorto, ha capito, sa: un po’ di più e un po’ meglio. E ora pone una domanda.
Non mi vuole. Perché?
Io sono qui di fronte a lui, all’ingresso della scuola, e una risposta gliela devo dare. Anche se non so cosa rispondere, anche se non immagino nessun modo in cui potrebbe esistere una risposta a questa domanda.
Una risposta non ce l’ho, ma gliela devo. Gliela devo perché lui è qui di fronte a me adesso, e mi pone una domanda: perché?
Lo sta domandando a me, lo sta domandando a noi tutti.
WHY DOESN’T SHE WANT ME?
Recalling…
School year 2018/2019, secondary branch, April.
It’s evening when a colleague of mine, Ned Flanders, texts me:
“Yesterday the supervisor of the [Moe’s Tavern] community called me. He said that [Patty Bouvier] declared on behalf of the school that three Unescorted Foreign Minors will not be admitted to finals. That was out of the blue to me. Do you know anything about that? I thought we still had to discuss that with the other teachers. And, frankly, I don’t see a reason for failing them, as their grades are good and they are well-mannered”.
No, I know nothing about this either. And I agree, there are no behavioural or educational reasons to exclude them from finals.
So, Patty Bouvier autonomously took a decision which should have been collective and shared between all teachers. And she communicated the decision to the community that hosts the students, without telling anybody. She called them explaining that given the circumstances the kids will not be allowed to even attend our school, starting tomorrow.
Luckily, the supervisor of the community, upon hearing this, called the school asking for them to be allowed attendance, even though they would be failing the year.
If this supervisor (whom I’d call Reverend Lovejoy) hadn’t called, for a personal concern, or if Patty had taken the call instead of Ned Flanders, those kids would have stopped coming to school and we would have never known why.
I wonder if Patty has taken a similar initiative before. Every year, a huge fraction of the student body stops attending during the spring. As nature is reborn, their life withers. They just disappear overnight. They get lost like seafoam when the waves crash on the cliff. Who knows where they end up, what they’re doing, why they become untraceable?
What Patty said to the community is that the three kids are forbidden from attending. What would have become of them if the Reverend hadn’t bothered to double check with the school?
Just remember we’re talking about three unescorted foreign minors. Let’s try to imagine what would become of them.
They would have stopped attending, obviously. Us teachers would have had to report to the police the fact they had quit education and probably police, in turn, would have expelled them from the community: getting an education is a binding requirement to get housing in that facility, in according with the law.
We’d have three underage kids, wandering alone in our city, without a stable housing situation or a study title to help find a job. With no future perspectives.
In the following days, the Reverend Lovejoy reported the kid’s often complaints about Patty, which yells at them and humiliates them in front of their classmates, sometime with blatantly racist expressions, possibly trying to provoke them into an aggressive response, which would put them in the wrong. This is superfluous: I don’t think it’s necessary to anger them any further. The necessity of surviving, alone, in a foreign country is enough to steer them towards a dangerous path (dangerous for them, for us and for society).
It would have been so easy. Three lives ruined by a phone call by Patty Bouvier. Luckily, those lives were instead saved by another call from the supervisor. It was that easy. Sometimes, it’s just that easy.
I wonder which kind of professional observation made Patty start this chain reaction. Why did she do that? To avoid grading three more finals? Maybe the salary we get from the State is not sufficient for her to not break that fragile thread that separates our students from loneliness, clandestineness, and delinquency?
They are professional observations indeed. But there are more immediate, less academic but nonetheless accurate thoughts. They belong to one of these students, who I meet the following days while he is luckily walking to school.
He asks:
“Why doesn’t she want me?”
She doesn’t want me. Why?
I hoped the kid would be immune from this earthquake he barely dodged. I hoped he wouldn’t notice, or wouldn’t understand, he wouldn’t know. But he did notice, he did understand and he knows: a bit more and a bit better. And he is now asking me:
She doesn’t want me. Why?
I’m standing in front of him, here, now, in front of school, and I must answer somehow. Even if I don’t know how, I can’t imagine a way this question could be answered in a satisfactory way. I don’t have an answer, but I must give him one. I owe it to him because he’s standing right here and right now, and he’s asking: why?
He’s asking me, he’s asking all of us.
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