top of page

PIÙ CHE SPERARE VOGLIO VIVERE (INSTEAD OF HOPING, I’D LIKE TO LIVE)

Immagine del redattore: A porte SchiuseA porte Schiuse

Ricordando...

Anno 2018-2019, sede secondaria, maggio


Ho chiesto a un mio caro amico, Federico V., di venire a scuola per raccontare ai nostri studenti la sua ultima avventura, portata a termine il mese scorso: ha attraversato il Canada, dall’estremo ovest di Vancouver all’estremo est di Montréal, in autostop. Ma i chilometri (che sono più di 4.500) non dicono tutto: resta da dire che Federico è affetto da una malattia, l'atassia di Friedrich, che da quindici anni lo costringe su una sedia a rotelle.

Gli ho chiesto di incontrare gli studenti perché sono convinta che si intenderanno benissimo. Per Federico il viaggio – e la parola viaggio, di sola andata nel loro caso, è forse la prima che i miei studenti hanno imparato della nostra lingua – è metafora della malattia: ogni giorno ci sono imprevisti da affrontare.

E Federico questi imprevisti li affronta. Senza chiedersi cosa accadrà domani, senza chiedersi se sia davvero possibile fare quello che si è prefissato di fare. Lui lo fa e basta: viaggia, incontra disabili che vivono dall’altra parte del mondo e ne condivide storie, speranze e difficoltà. Come il ragazzo vietnamita cui ha regalato una sedia a rotelle liberandolo dalla condanna a non potersi alzare dal letto perché la famiglia non aveva i mezzi per comprargliene una.

Quello attraverso il Canada è solo l’ultimo dei viaggi di Federico. Ha pedalato a forza di braccia anche a Cuba, in Vietnam e per 3.300 chilometri in Argentina, dopo aver partecipato ai mondiali di paraciclismo.

Sì, infatti, ne ero certa e la magia avviene prima ancora che io me ne accorga: Federico s’intende benissimo con gli studenti. Anche molti di loro hanno affrontato viaggi al limite dell’inverosimile, hanno accettato sfide e tenuto testa a imprevisti e a incidenti che se ti fermi a chiederti se sono sopportabili non puoi che risponderti che no, non lo sono. E allora è meglio non perdere tempo a chiederselo.

“Più che sperare voglio vivere…” il racconto di Federico inizia così, con queste cinque parole che hanno il sapore di parole cui si può credere perché sono sporche di fango.

L’atassia di Friedrich è una malattia neuro-degenerativa congenita, attualmente non curabile, che si manifesta con una progressiva perdita di coordinazione nei movimenti fino alla completa paralisi della muscolatura. Nel 2006 Federico e suo fratello Alessandro, colpito anche lui dalla stessa patologia, hanno fondato la squadra di paraciclismo Piccoli Diavoli 3 Ruote e l’omonima Onlus che ancora oggi è attiva nella raccolta di fondi per la ricerca medica e nel dare ad altri disabili l’occasione di fare sport .

“Quel che c’è in gioco è soprattutto un’occasione per tornare a vivere anche dopo che qualcosa ha cercato di fermarci”, spiega Federico mentre ad ascoltarlo ci sono quaranta studenti migranti che non aspettano altro che tornare a vivere. “Quando qualcuno mi prende in giro, io so che non ha idea delle sfide che devo affrontare: questa persona non sa quanto valgo, ma io lo so e questo mi basta. La prossima volta che incontrate una persona disabile, quindi, prima di pensare qualsiasi cosa ricordatevi che quella persona affronta ogni giorno fatiche e difficoltà, imprevisti e problemi nuovi, e che se la incontrate è proprio perché ha deciso di non arrendersi”.

Per la burocrazia della nostra scuola, la parte più difficile della giornata è stata stabilire dove invitare Federico. Per avere l'autorizzazione a invitare Federico, ho raccontato a mr. Montgomery Burns tutta la sua storia, gli ho mostrato le foto dei viaggi e ho fatto notare le barriere architettoniche che presidiano gli ingressi di quasi tutte le diverse sedi nelle quali è suddivisa la nostra scuola… soprattutto dopo che per tre volte Burns mi ha proposto di invitare Federico in un’aula al secondo piano, senza ascensore.

Dopo circa venti minuti, Montgomery Burns ha avuto un'illuminazione:

"Beh, dobbiamo tenere conto del fatto che questo ragazzo non può camminare!"

In effetti, sarebbe utile. Alla discussione con Burns per organizzare l’incontro (sia detto per inciso: Federico viene gratuitamente, nonostante abiti a oltre 50 chilometri dalla scuola) è presente anche un mio collega, cui sfugge un commento: “Per una persona in difficoltà è più facile attraversare il Canada che attraversare la porta di questa scuola”. Mr. Montgomery Burns ribadisce che accogliere persone in difficoltà è la missione della nostra scuola.

Per fortuna la porta della scuola si schiude su un’aula al piano terra e Federico ha questioni più importanti di cui parlare: “Quando ho scoperto di avere l’atassia ero in quinta superiore. Avevo altri pensieri, ben lontani dall’handbike! Mio fratello mi consigliava di fare sport per rallentare il declino della malattia, ma io ero incazzato con il mondo”.

Una studentessa ecuadoregna gli chiede come la malattia lo abbia cambiato e la sua risposta arriva senza esitazioni:

“Prima ero confuso, ma adesso so chi sono. So cosa voglio e so cosa sono capace di fare. I primi tempi mi ostinavo a camminare e mi è capitato che qualcuno abbia telefonato alla polizia perché, vedendomi barcollare, pensava che fossi ubriaco. La gente giudica prima di fare lo sforzo di capire”.

La gente giudica: vedo dagli sguardi che si scambiano in silenzio che i miei studenti sanno di cosa Federico stia parlando. Sono sguardi che vede anche lui, e insiste: “Devi prenderti in mano e scegliere come vuoi che la gente ti veda. Io ho deciso che non voglio che la gente mi veda come uno sfortunato handicappato, ma come uno che viaggia e vive. La mia malattia peggiora continuamente e io non ho tempo di stare ad aspettare. Se voglio fare qualcosa so che devo farla adesso, perché domani potrei non riuscirci più. Ho fretta e mi sento fortunato ad averla”.

Federico ci saluta con l’augurio di rivederci all’autodromo di Monza, dove presto si terrà un’altra edizione della gara di handbike organizzata ogni anno dalla Piccoli Diavoli 3 Ruote.

“Qual è il più grande successo che hai ottenuto nella tua vita?”, gli chiede uno studente romeno mentre usciamo dalla scuola.

“Fra un mese nascerà mia figlia”, risponde Federico.



L'avventura di Federico:



 

INSTEAD OF HOPING, I’D LIKE TO LIVE

Recalling…

School year 2018-2019, secondary building, May


I asked a dear friend, Federico V., to come to school to tell the students about his last adventure, which came to an end just last month: he crossed the whole of Canada, from Vancouver in the West to Montréal in the East, hitchhiking. But the kilometre count (more than 4500 / *2796 miles) cannot tell everything: what’s missing is that Federico suffers from an illness, Friedrich’s ataxia, which has been forcing him on a wheelchair for the past 15 years.

I asked him to meet the students because, I’m convinced, they will understand each other. To Federico travelling – and travelling, probably one-way, is the first word my students ever learned in our language – is a metaphor for the illness: everyday there are obstacles to overcome.

And Federico overcomes each one of them. Without asking himself what tomorrow will bring, or if what he decided to do is possible. He just does it: travels, meets disabled people from the opposite corner of the world and shares their stories, hopes and hardships. Like the Vietnamese boy he gifted a wheelchair to, freeing him from the conviction to his bed because his family could not afford one.

This journey across Canada is just the last of Federico’s travels. He hand-cycled in Cuba, in Vietnam and in Argentina across 3300 kilometres [*2050 miles], after competing in the Para-cycling World Championship.

I was certain of this, and magic happens before I even notice: Federico immediately understand the students and vice versa. Many of them have embarked on unbelievable journeys, accepted hardships, took on accidents and unexpected events which are not tolerable, if one stops to think about them.

“Instead of hoping, I’d like to live…”: is the incipit of Federico’s tale, these words which are believable because they are spattered with mud.

Friedrich’s ataxia is a congenital neuro-degenerative disease, to which there is no cure currently, which manifests itself with a loss of movement coordination until a complete muscular paralysis. In 2006, Federico and his brother Alessandro, suffering from the same disease, founded a para-cycling team Piccoli Diavoli Tre Ruote [Little three-wheeled devils] and the non-lucrative organization by the same name, which is still active with fundraisers for research and introducing other disabled individuals to sports.

“What’s at stake is the occasion to go live again after something tried to stop us”. Federico explains, as forty migrants who just want to live again are listening. “When someone makes fun of me, I know he has no idea of the hardship I face: that person doesn’t know my true value, but I do know and that’s enough for me. Next time you meet disabled individuals, before thinking anything else remember they take on new difficulties every day, and if you meet them it’s because they didn’t give up”.

Bureaucracy-wise, the hardest part of this meeting was inviting Federico. To receive the authorization from the school, I told Mr. [Montgomery Burns] his story, I showed pictures of his travel and reminded him about the mobility barriers which are in front of almost every entrance of the school… More so after he asked me to invite Federico in a room on the second floor, without elevator.

After 20 minutes, Burns has an epiphany: “We must take into account the fact this young man can’t walk!”

That would be a good starting point. Moreover Federico agreed to get no compensation, even if he lives 50 kilometres [31 miles] away. To this meeting with the principal, another teacher is present, which comments: “For a person with mobility difficulties, it’s easier to cross Canada than the threshold of this school”. Burns states that the mission of this school is to welcome people in any sort of difficulty.

Luckily the school has a ground floor room and Federico has more urgent matters to speak about: “When I discovered I had ataxia I was in twelfth grade. I was 18 and I had thoughts and worries very distant from handbike! My brother suggested to practice sports to slow down the disease, but I was pissed off”.

A girl from Ecuador asks in what ways the disease changed him and he doesn’t hesitate in answering: “I was confused before, but now I know who I am. I know what I want and what I can do. In the beginning I was dead set in walking and a few times people called the police on me because, seeing me wobble, they thought I was drunk. People often judges before trying to comprehend”.

People are judgemental: I see the glances my students are exchanging, and I know they know exactly what Federico is talking about. He sees that too, and goes on: “You need to take matters in your own hands and choose how people is going to see you. I decided I don’t want people to see me as an unfortunate handicapped guy, but as someone who travels and lives his life. My disease is getting worse and I have no time to waste waiting. If I want to do something, I must do it now, because I may no longer be able to tomorrow. I am in a hurry and that’s my luck”.

Federico says goodbye with the wish to see us again at the racetrack in Monza, where soon another edition of the yearly handbike championship organized by the Little three-wheeled devils will take place.

“What is your biggest accomplishment in life?”, a Romanian student asks on the way out.

“My daughter is due to be born in a month”, Federico says.



Here I am! Federico's blog:

Post recenti

Mostra tutti

Comments


Tavola disegno 1.png

Seguici sui nostri social

  • Grey Facebook Icon
  • Grey Instagram Icona

©2019 A porte Schiuse

bottom of page