Ricordando…
Anno scolastico 2017/2018, sede centrale, gennaio, Italiano
Insegnare parole per dire verità che conoscono già.
Questo è il mestiere di noi, insegnanti di italiano. Che gli studenti siano nati a Milano, figli di papà Imbruttito e mamma con cane in borsetta, o a sud del Mediterraneo, figli di nessuno, la differenza è poca. Conoscono già la verità, manca la parola per dirla.
Eccola. Il nostro mestiere è indicargliela. Ecco, guarda qui, è questa la parola che cerchi.
Z. ha 36 anni, che gli pesano addosso come fossero 60. Oggi, come tutti i suoi compagni, ha scritto e consegnato un tema perché lo valutassi. Forse tema è una parola grossa per dieci righe scarabocchiate in un alfabeto che assomiglia più all’arabo che al latino. Ma la parola da cercare, tra queste righe, è un’altra: amore. Z. non la conosce ancora, e infatti non l’ha scritta, ma la verità di questa parola urla nero su bianco.
Leggo quel che ha scritto. E lo traduco, per lui e per te:
racconta in poche frasi la sua infanzia a vagabondare tra la sabbia del deserto del Sahara, nel sud di un Marocco che lui conosce solo perché ha arraffato un passaporto del re. Lui sa di appartenere a una tribù berbera, nomade, che vive di commerci e rapine ai pochi temerari che si spingono laggiù, nel deserto.
A guardarlo in faccia, capisci subito che Z. è uno di cui bisogna aver paura.
Il viso scottato da un sole atavico, le braccia forti, le mani inabili a dar carezze, i calli sotto i piedi e sopra il cuore, lo sguardo duro di chi di cose brutte ne ha viste tante. E di queste tante cose brutte, molte non le ha soltanto viste.
È il suo corpo a dirlo. Nel deserto – dice – si incontrano poche persone e da quelle poche bisogna avere tutto: prima si compra, si fa commercio, ma poi i soldi finiscono e la fame rimane.
Eppure il tema che Z. ha scritto e mi sta ora consegnando racconta altro. Racconta che ormai da anni lui vive qui, e io resto un attimo a chiedermi quanta paura deve fare, a lui abituato alla luna, questa nostra città lombarda illuminata dai fari… prima o poi gli insegnerò anche quest’altra parola: luce. Vive qui da anni e sua figlia è nata in Italia.
Il tema a questo punto prende una piega diversa, inaspettata. A Z. sono bastate poche righe per raccontare la sua vita, poche parole per far sudare il deserto a me che non l’ho mai visto, e poi… poi uno spazio bianco, il vuoto.
I silenzi dicono molto, anche quelli stampati su carta. Lui che non ha mai letto un libro, conosce pure questa verità.
E il silenzio del bianco di questo foglio per Z. significa mai più.
Mai più Z. rivedrà il deserto. Ormai la sabbia gli è nemica, ostile, mortale. Non per il caldo, il vento, le tempeste: per quella gente che era la sua e che ora ha in mano un coltello. Perché?
Questo Z. lo spiega in una sola frase, l’ultima. Scrive che ogni estate dall’Italia lui tornava a casa sua, quella casa incendiata che è il Sahara, per salutare la sua famiglia. Tornava: l’ultimo ritorno lo ha fatto nell’estate 2013. I capi della tribù gli hanno ricordato che sua figlia è in età di matrimonio e doveva sposare “uno dei nostri”.
“Mia figlia è italiana, sposerà chi vuole”, è stata la sua risposta.
Z. non conosce la parola amore. Dice “Mia figlia sposerà chi vuole”, non “sposerà chi ama”, perché non sa che esiste il verbo amare. Non lo sa in italiano, forse non lo sa in nessuna lingua.
Ma ci vuole un attimo a imparare la parola, quando conosci la verità.
SHE’LL MARRY WHOEVER SHE WANTS
Reminiscing…
School year 2017/2018, main school building, January, Italian
Teaching words to express truths they already know.
This is our job, teaching Italian. Whether students were born in Milan, from a 100% Milanese father and a mother who carries a small dog in her purse, or South of the Mediterranean, nobody’s child, there is little difference. They already know the truth, what they lack is a word to tell it.
There it is. Our job is to show them. Here, this is the word you’re looking for.
Z. is 36 years old, weighing on him as if they were 60. Today, just like his classmates, he wrote and turned in an essay so I could grade it. Maybe essay is a bit too big of a word, for ten lines written in an alphabet that looks closer to Arabic than it does Latin. But the word to seek, between those, is a different one: love. Z. still doesn’t know it, therefore he did not write it, but the truth of this word is clearly stated in black and white.
I read what he wrote. And I translate it, for him and you:
He briefly tells of his childhood, spent wandering the Sahara desert sands, in the south of Morocco that he only knows because he managed to grab a Royal Passport. He knows he belongs to a Berber tribe, nomads, who lives of commerce and robberies to those few reckless people wondering down there, in the desert.
Looking at his face, you can instantly tell that Z. is the kind of person you should be afraid of.
His face scorched by an atavic sun, strong arms, hands too rough to hand out caresses, his feet and heart callous, the harsh gaze of those who have seen too many bad things. And many of those bad things, he didn’t only see.
It’s his body that tells this. In the desert – he says – you meet few people and from those you have to get everything: first you buy things and commerce, but then money becomes scarce and hunger stays.
However, the essay Z. handed me just now tells a different story. It says he has been living here for years now, and I stop a second to wonder how scary it must be, to him used to the moonlight, this Notrhen Italy city lit by lampposts… Sooner or later I’ll teach him this word too: light. He’s been living here for years and his daughter was born in Italy.
At this point the essay takes an unexpected turn. Z. only needed a few lines to tell his whole story, a few words to explain the desert even to me, and then… then a blank space, empty.
Silences are very telling, especially those that are printed on paper. He never read a book, yet he already knows this truth too.
And the silence of this white paper sheet, to Z., means never again.
Never again will Z. see the desert again. Sand, by now, is an enemy, hostile, deadly. Not because of the heat, the wind, the storms: because of those people who used to be his people and now is holding a knife. Why?
This, Z. explains with a single phrase, his last one. He writes that he used to go back home every Summer, that fiery house that is Sahara, to visit his family. He used to: his last trip was in the Summer of 2013. The tribe chiefs reminded him that his daughter is of age for marriage and had to marry “one of their own”.
“My daughter is Italian, she’ll marry whoever she wants”, was his answer.
Z. doesn’t know the word love. He says “My daughter will marry whoever she wants”, not “whoever she loves”, because he doesn’t know the verb to love. In Italian at least, maybe not even in any other language.
But it only takes a second to learn the word, when you know the truth.
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