di ELISABETTA CRISPONI
«L'autore presenta alcuni ragguagli su se medesimo, la sua famiglia, i primi incentivi a viaggiare. Fa naufragio, salvasi a nuoto, sbarca nel paese di Lilliput». [I viaggi di Gulliver, Jonathan Swift, 1726].
Questa volta Gulliver ha deciso di restare a casa. Prima di intraprendere un nuovo viaggio, sente la necessità di fermarsi a riflettere su quello che succede “a casa sua” in questo momento storico specifico. D'altronde, non è una novità che prima di provare a conoscere gli altri, bisogna imparare ad essere consapevoli di se stessi. Gulliver è un narratore errante, ma anche i viaggiatori hanno una casa: la sua è l’ Europa. Iniziamo la riflessione partendo dal discorso che la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta all'Olocausto, ha fatto nel Parlamento Europeo.
«Vorrei anche salutare i parlamentari inglesi che ci stanno lasciando, con grande dispiacere di tutti. E non nascondere l’emozione profonda. Entrare in questo Parlamento europeo dopo aver visto all'ingresso le bandiere, le bandiere colorate di tanti stati affratellati nel Parlamento europeo dove si parla, si discute, ci si guarda negli occhi. Non è stato sempre così. Il Parlamento europeo e la mia non estinzione mi sembrano lo stesso miracolo. [...] Vogliamo che l’Europa continui a formarsi con le nostre diversità, con pluralità di voci. Ci rivolgiamo ai governi perché usino vigilanza e severità nei confronti di ogni forma di intolleranza».
Concentriamoci prima di tutto sulla parte iniziale di questo discorso, in cui vengono menzionati i parlamentari inglesi. Abbiamo senza dubbio sentito parlare di Brexit. Con questo termine si intende il processo di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, iniziato dopo il referendum del 23 giugno 2016 ed ufficializzato il 29 marzo 2017. A questo sono seguiti una serie di negoziati e rinvii che si sono conclusi con l’uscita del Regno Unito, il 31 gennaio 2020, dall’Unione Europea. Qui non si intende dare un giudizio sulla vicenda, né fare nessuna analisi delle conseguenze politiche o economiche dell’avvenimento. Si vuole solamente riflettere brevemente dal punto di vista storico, senza nascondere un pizzico di dovuto sentimentalismo, sul processo che ha portato alla nascita di questa Unione dei popoli, da cui molti oggi vogliono fuggire. Gulliver vi aveva già parlato, nella prima puntata di questa rubrica, di cosa rappresenta questo “sogno europeo”, ma ora sente la necessità di ribadirlo. Spesso le nuove generazioni dimenticano il peso della responsabilità di essere i posteri del Novecento. Per affrontare quest’epoca, serve un forte senso di appartenenza, oltre ad una grande coscienza storica. Sicuramente a molti di voi è capitato di vedere nella propria città una via intitolata ai “Ragazzi del ‘99”, la generazione di diciottenni che partecipò, come vittima sacrificale, alla Prima guerra mondiale. La cronaca militare dell’epoca descriveva così questi ragazzi, nell'ordine del giorno del generale Armando Diaz il 18 novembre 1917: «I giovani soldati della classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. Il loro contegno è stato magnifico. Li ho visti i ragazzi del ’99. Andavano in prima linea cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera. Cantavano ancora». L’ultimo “ragazzo del ‘99” è scomparso a 107 anni nel 2007. Si chiamava Giovanni Antonio Carta, caporal maggiore di fanteria della Brigata Sassari e Cavaliere di Vittorio Veneto. Ma sicuramente la “Grande guerra”, che costò la vita a 16 milioni di persone, tra militari e civili, senza contare i 20 milioni tra feriti e mutilati, non è certo stato il primo conflitto svoltosi in territorio europeo. Per secoli le guerre hanno sconvolto la vita della popolazione. E dopo la resa del 1918, gli europei versarono ancora lacrime amare. Dopo vent'anni, l’Europa fu sconvolta da un nuovo e più feroce conflitto che la devastò, macchiandola delle peggiori atrocità per sempre. Ecco perché, a partire dal 1945, era necessario avere un progetto di unione coraggioso e condiviso. Quel progetto era l’Unione europea, che prima di qualsiasi cosa significava “Pace consolidata e duratura”. Oggi questo è diventato realtà e mai l’Europa aveva conosciuto un così lungo periodo di Pace. Nonostante le molteplici contestazioni, anche valide e lecite, non dobbiamo dimenticarci dei vantaggi di cui tutti noi europei abbiamo beneficiato nei settantacinque anni di pace. Abbiamo la libertà, nelle sue varie sfaccettature. Libertà di espressione, di credo religioso, di transito, di studio e formazione. L’Unione promuove gli scambi per la ricerca e può cooperare sempre più sul fronte della politica extracomunitaria. Certo, non è tutto perfetto. C'è ancora tanto da fare sulla gestione dei flussi migratori, sulla minaccia terroristica, sull'unità etica, prima ancora che economica. Ma ciò che dovremmo vedere come fatto straordinario è che oggi l’Europa potrebbe dirsi finalmente riconciliata con se stessa, ma non lo sarà mai del tutto fino a quando non la vedremo come qualcosa che non solo ci appartiene, ma è il nostro specchio. Anche Gulliver, ama viaggiare, si allontana, si interroga sul mondo e su se stesso. Ma si sa, “il giro lungo è la strada più breve per tornare a casa”, e i figli di questa Europa, che con Lei hanno sognato o da Lei fuggono carichi di sdegno, non fanno altro che cercare di ritrovare Lei e loro stessi.
«Avevo lasciato la Francia da quasi cinque anni, avevo abbandonato la mia carriera universitaria; durante questo tempo i miei compagni più saggi erano andati avanti; quelli che, come me un tempo, avevano tendenza per la politica, erano oggi deputati, e quanto prima sarebbero stati ministri. Ed io invece correvo i deserti, perseguendo relitti di umanità. Chi o che cosa aveva dunque fatto esplodere il corso normale della mia vita? [...] Invece di aprirmi un universo nuovo, per un singolare paradosso, la mia vita avventurosa mi restituiva piuttosto il vecchio, mentre quello a cui avevo aspirato si dissolveva tra le mie dita. Tanti più gli uomini e i paesaggi alla conquista dei quali ero partito perdevano, a possederli, il significato che me ne aspettavo, tanto più a queste immagini deludenti, anche se reali, se ne sostituivano altre, tenute in riserva dal mio passato e alle quali non avevo attribuito alcun valore quando appartenevano al mondo che mi circondava. Viaggiando per paesi che pochi occhi avevano contemplato, dividendo l’esistenza dei popoli la cui miseria era il prezzo – da essi pagato per primi – perché io potessi risalire il corso dei millenni, non scorgevo più né gli uni né gli altri, ma solo visioni fugaci della campagna francese che mi ero negata, o frammenti di musica o di poesia che erano l’espressione più convenzionale di una civiltà contro la quale avevo optato, e dovevo persuadermene, per non correre il rischio di smentire il senso che avevo dato alla mia vita. Per settimane su quell’Altipiano del Mato Grosso occidentale, ero stato ossessionato non da ciò che mi circondava e non avrei visto mai più, ma da una melodia nota e arcinota che il mio ricordo impoveriva maggiormente: quella dello studio n. 3, opera 10, di Chopin, nella quale mi sembrava, per una derisione alla cui amarezza ero ancora sensibile, che si riassumesse tutto ciò che avevo lasciato dietro di me». [C. Lévi-Strauss, Tristi Tropici, 1955].
Gulliver vi saluta così e si prepara già per il prossimo viaggio in terre lontane, sempre con le Storie di Erodoto sotto il braccio, e l’Inno alla gioia della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven nelle cuffie.
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