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I viaggi di Gulliver. UN FILM SENZA COLONNA SONORA

Immagine del redattore: Elisabetta CrisponiElisabetta Crisponi

di ELISABETTA CRISPONI


Virus: In microbiologia, particella infettiva di dimensioni submicroscopiche che parassita cellule eucariotiche animali e vegetali, costituita essenzialmente da proteine e acidi nucleici (DNA o RNA); la forma infettante (virione) presenta un capside con simmetria icosaedrica o elicoidale,che circonda l'acido nucleico centrale


No cari lettori, Gulliver non si è trasformato, come tanti hanno fatto, in uno pseudoscienziato durante la quarantena. Ma ha deciso, nel tempo del COVID-19, di interrogarsi su un altro virus che qualche tempo fa fu ugualmente protagonista della scena mediatica: Ebola. Per affrontare un nuovo viaggio in Africa, con noi ci sarà Massimo Alberizzi, laureato in chimica, giornalista esperto, che ha viaggiato per tutta l’Africa coprendo guerre, carestie e perfino lo tsunami in Somalia. Attualmente è direttore del quotidiano online Africa ExPress (www.africa-express.info). Ma non solo. Tutte le citazioni esterne all'intervista sono tratte dal libro Zona Rossa, scritto dai medici Roberto Satolli, Gino Strada e Fabrizio Pulvirenti.

Massimo, quando hai avuto a che fare con l’Ebola? «La prima volta nel 1995, a Kikwit, in Congo. La seconda volta a Gulu, in Uganda, nel 2000». Eri inviato del Corriere della Sera. «Esatto. Nel ‘95 venni mandato in Congo dall'Italia. L’Ebola aveva colpito un ospedale gestito da suore italiane, quindi aveva avuto risonanza mediatica da noi. La seconda volta invece, mi trovavo in Kenya e venni inviato in Uganda per coprire l’emergenza». Che differenze ci sono state tra le due esperienze? «Nel ‘95 non si sapeva cosa fosse l’Ebola. Rimasi sei giorni, parlai con le suore superstiti, senza misure di sicurezza, nemmeno la mascherina o i guanti. Entravo nelle camerate con gli ammalati senza protezione».


"L’epidemia di Ebola del 2014 non è un episodio qualsiasi nell'avvicendarsi delle malattie e delle pestilenze che da sempre affliggono l’umanità. Nel bene e nel male è una svolta per la medicina, per l’Africa, per il mondo intero con tutte le sue complesse interconnessioni. La sfida è stata lanciata dal virus, che è uscito dalla foresta, ha aggredito un bambino di due anni che giocava sotto un albero infestato di pipistrelli, e da lì è dilagato, fino a conquistare un’intera regione del continente africano e a tenere in scacco e gettare nel panico per mesi il mondo intero".

E nel 2000? «C’è stata subito la reazione della comunità internazionale e dei centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Centers for Disease Control and Prevention, abbreviati in CDC).Come si vede nelle foto, io e il fotografo Giapponese Tomoaki Nakano, non avevamo protezioni. Tutto si è svolto al Lacor Hospital, ospedale di un’organizzazione italiana gestita da Piero Corti. Io dormivo in stanza con un medico che poi contrasse l’Ebola e morì. Il suo nome era Matthew Lukwiya, poi conosciuto in tutto il mondo per il suo impegno nel curare i malati. Il personale sanitario era ben bardato, ma non aveva gli scafandri».

Comunque tu e il fotografo non siete stati contagiati. Fortuna? «Non lo so. Quando rientrai in Italia, il direttore Ferruccio De Bortoli mi disse che i colleghi non mi volevano in redazione. Uno di loro disinfettò la mia postazione. Così dovetti stare in isolamento».

Ma cos'è davvero l'EbolaUn filovirus, cioè un virus di forma allungata composto da un involucro di proteine che avvolge un singolo filamento di Rna: una stringa in codice, molto simile al Dna, divisa in sette geni che possono riassemblare lo stesso oggetto infinite volte, nelle cellule di vari animali. Riproducendosi in cellule di primati, compreso l’uomo, il virus provoca febbri e altri guasti con esiti spesso letali. Come avviene il contagio e perché è meno contagioso del COVID-19?

"Dopo un’incubazione che può durare da due giorni a tre settimane, comincia a moltiplicarsi in miliardi e miliardi di copie, a cui il corpo malato reagisce con febbre alta e spesso vomito o diarrea violenti. A quel punto, e non prima, i filamenti cominciano a spargersi, col sudore, la saliva, le urine, le feci, le secrezioni di qualsiasi mucosa, ma non sono capaci di andare lontano, per esempio viaggiando nell'aria con l’aerosol di uno starnuto o di un colpo di tosse, come fanno molti altri virus, dalla varicella al raffreddore. Solo toccando i fluidi carichi di filamenti e portandoli inavvertitamente a contatto con le mucose del naso, della bocca o con abrasioni della pelle, si consente al virus di entrare in un nuovo corpo e in questo caso bastano poche copie per ricominciare il ciclo. Le particelle virali che restano fuori, in macchie di sangue o d’altro sulle superfici circostanti, possono impiegare molto tempo, perfino giorni, a dissolversi".

E nella fase successiva...

"La malattia si manifesta da subito violentemente, e la sorte tra morte e guarigione si gioca spesso nel giro di pochi giorni, come in una gara tra la velocità con cui i filamenti prendono possesso delle cellule umane e quella con cui le difese della vittima riescono a organizzare una resistenza. Chi non muore a cavallo della prima settimana può farcela, a patto che nel frattempo non vengano meno le funzioni degli organi vitali, come i reni, i polmoni o il fegato. [...] Sentono un caldo insopportabile, i malati: a parte la temperatura esterna sono torturati dalla febbre alta che non di rado raggiunge i 39 e talvolta supera i 41°C. Stanno male, alcuni molto male, e potrebbero morire nel giro di poche ore, magari all'improvviso e senza che si capisca il perché. Altri sono già in coma, o quasi, altri sono confusi e agitati".

Il modo per poter stabilire il contagio da Ebola è effettuare il PCR, acronimo che sta per Polymerase Chain Reaction (reazione a catena di polimerasi). Questo test è capace di farci riconoscere con certezza dove alberga Ebola e dove invece non c’è più o non c’è mai stato. Massimo, cosa ti ha lasciato questa esperienza? «Quello che colpisce è che spesso le abitudini e le tradizioni sono più forti della paura del virus. La gente si preoccupa fino ad un certo punto, un po' come sta succedendo anche da noi in questo momento. Adesso le strade cominciano a ripopolarsi, anche se con fatica, ma all'inizio dell’emergenza era un deserto. Quando la gente è stufa sfida il rischio del virus. Per quanto riguarda l’Ebola, le persone non volevano ricorrere alle protezioni. In Africa, per tradizione, i cadaveri si lavano. Volevano continuare a lavarli, per superstizione, incredulità e pregiudizio. Ci furono forti tensioni con il personale sanitario, che veniva accusato di incutere terrore per conto degli occidentali. A volte i contagiati non si recavano in ospedale per timore del rifiuto altrui. Bisognerebbe cercar di capire prima dello scoppio di un’epidemia, non dopo, come ci si deve comportare in quei casi. Ma ammetto sia molto difficile». Si possono fare paragoni tra l’emergenza Ebola e quella del COVID-19? «Ci sono stati errori ovunque, anche in Lombardia. La situazione non è paragonabile perché l'Africa ha un sistema sanitario pietoso, tuttavia, qui il nostro avrebbe dovuto avere risorse che invece non ha». Come vedi il mondo post COVID-19? «Non ho la sfera di cristallo, ma credo che dovremo cambiare stile di vita. E pretendere dalla politica. Abbiamo tragicamente davanti agli occhi ciò che ha portato lo smantellamento della sanità pubblica. Il Neoliberismo sta distruggendo tutto. Cosa paghiamo e finanziamo con le tasse che versiamo? Sta diventando tutto privato, e spesso imitiamo modelli per cui non abbiamo infrastrutture»

"La medicina non è più strumento per garantire la salute pubblica, sempre più spesso è un “bene” o una merce disponibile a chi può permettersela. Una casta di delinquenti sociali ha trasformato gli ospedali in aziende - e le cure dipendono ora dai budget e dagli interessi dell’industria, non più dai bisogni e dalle sofferenze delle persone - e ha creato una medicina del profitto dove anche la “cosa pubblica” è diventata privata, in tutti i sensi. Privata anche di ogni dignità e di ogni morale".

Abbiamo percorso questo racconto quasi come se stessimo narrando le gesta di un individuo Virus, o tanti di essi, che condizionano la nostra vita, ci impongono distanza, reclusione e terrore.

"Invisibile e astratto, talmente piccolo da penetrare qualsiasi filtro, il virus sfugge alla comprensione e finisce per essere personalizzato. Ci si chiede: dove si nasconde, dove sta andando, quali sono le sue intenzioni e le sue strategie, come si adatta ai nuovi ambienti, quale sarà la prossima mossa? Come se ci fosse un signor Ebola, o triliardi di signori Ebola, che agiscono, pensano, hanno progetti, astuzie, successi e fallimenti."

Dalle immagini delle nostre città vuote, risuona un grido sordo, come se lo spazio e il tempo che da sempre abbiamo occupato e sfruttato ci stessero mostrando un film di cui non vorremmo essere gli attori, ma inevitabilmente siamo protagonisti. La colonna sonora è stata sostituita dal silenzio, le belle immagini della vita mondana dal bianco e nero delle piazze deserte. Ma cosa ci ridarà i colori? La premura, l’attenzione e la responsabilità. Le piccole accortezze possono salvare il Mondo. Adesso lo salverà anche una semplice mascherina.  

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