Ricordando…
Anno scolastico 2018/2019, sede secondaria, 25 aprile, (Storia?)
Oggi è il 25 aprile, giovedì.
Ho pensato molto a come raccontare ai miei studenti perché oggi è una festa importante per questa nostra Italia che giorno dopo giorno, fatica dopo fatica, parola dopo parola, diventa sempre più anche la loro.
Avevo pensato a una lezione d’impatto, per far loro capire da che cosa ci siamo liberati. Entrare in aula alzando subito la voce per imporre il silenzio e spaventarli… ma la mia voce non sarà mai abbastanza cattiva da rendere l’idea di quella che dev’essere stata la voce del fascismo.
Spesso, durante i nostri incontri in classe, con alcuni studenti nasce un dibattito su un qualche argomento. Mi fa piacere perdere un po’ di tempo così, perché si sa che questo è il modo migliore per imparare una lingua. Funziona così a qualsiasi latitudine: quando vuoi difendere un’opinione, ti sforzi di trovare le parole meglio di quanto ti sforzeresti per un esercizio di grammatica. Quando discutiamo i ragazzi vogliono farsi capire bene, danno importanza alle sfumature, credono nella forza delle loro affermazioni.
Questa volta, invece, potrei uccidere sul nascere il dibattito, vomitare aggressioni contro chiunque esprima la propria opinione, cacciare fuori dall’aula e umiliare chi dice qualcosa che non è in linea con il mio pensiero. Ma no, nemmeno questo basterebbe.
Entro in aula, quindi, senza idee. Racconto quel che è successo, come fosse una lezione di storia quasi normale. Mussolini, Matteotti, la censura, le leggi razziali, l’alleanza con Hitler, la seconda guerra mondiale, la Resistenza, piazzale Loreto a Milano. Va beh - penso tra me e me - sono passati tanti anni, perché mai dovrebbero esserne interessati?
E invece i miei studenti sono interessati. Ascoltano, discutono tra loro, intervengono, fanno domande. Vogliono saperne di più, vogliono capire meglio.
E parlano, parlano, parlano. Alcuni, come un fiume in piena, raccontano del loro Paese di origine: il governo che entra nelle case, fruga sotto il letto, negli armadi, ascolta, vede tutto, costringe i figli a denunciare i genitori, le mogli a denunciare i mariti, gli insegnanti come me a denunciare gli studenti. C’è una spia della polizia in ogni palazzo, in ogni villaggio, in ogni fabbrica, in ogni campo da coltivare; in ogni telefonata si frappone un terzo interlocutore.
I miei studenti hanno voglia di parlare e finalmente possono farlo. Non si tratta di grandi discorsi, non prospettive da Nobel per la Pace, non parole degne di finire nelle antologie della buona letteratura scolastica.
Dicono che essere liberi significa avere la libertà di essere protagonisti delle proprie semplici, banali giornate: parlare, pensare, incontrare persone, studiare, avere un’opinione, lamentarsi, scegliere il lavoro ecc. Azioni ovvie, scontate, cui io non faccio neppure caso.
Non esiste la libertà al singolare, la libertà in astratto: la libertà assoluta, di fare tutto, fa solo paura. Esiste la libertà di fare questo e quello, di dire questo e quello, di pensarla in questo e in quell’altro modo. Esistono le libertà al plurale: qui, ora; e poi là, domani.
Dicono che si è davvero liberi solo se lo si è nei piccoli gesti quotidiani. Come fare la spesa, aspettare l’autobus, uscire con gli amici, andare in vacanza; vestirsi, innamorarsi.
Dicono che io non posso essere libero se non lo sono anche le persone accanto a me. La libertà si declina solo alla persona plurale, mai a quella singolare: noi siamo liberi, altrimenti io non lo sarò mai. Da solo, non me ne faccio niente della mia libertà: comunque non avrò nessuno con cui parlare, nessuno con cui combattere le battaglie nelle quali credo, nessuno con cui discutere e litigare per dare forma alle mie opinioni e alle mie ambizioni.
Non si tratta di discorsi straordinari, ma della bellezza dell’ordinario. I miei studenti parlano e dicono, semplicemente, parole che da tempo avevano voglia di dire. Parole che non hanno mai potuto dire nella loro lingua. Il fatto che ora le stiano dicendo in italiano credo sia un epilogo che ai partigiani sarebbe piaciuto.
Oggi non intervengo, non credo ci sia bisogno di me. Molti tra i miei studenti sono fuggiti dal fascismo dei giorni nostri, che attanaglia il loro Paese e lacera la società nella quale sono nati. Sanno già perché è tanto importante festeggiare la liberazione.
Democrazia. È una parola difficile da spiegare a chi è ancora solo agli inizi del suo viaggio verso la lingua italiana. Ma non mi sembra necessario stare a spiegare che questa parola deriva dal greco, che fa riferimento a un particolare stile di governo, che implica un complesso sistema di votazione popolare e di passaggi parlamentari: la democrazia, vista da chi conosce la dittatura, è limpida e chiarissima.
'Il Post' spiega perché il 25 aprile è la Festa della Liberazione.
Il 25 aprile spiegato da Makkox.
Un video (youtube) realizzato da Zanichelli per raccontare in brevissimo la storia del fascismo. Un focus molto riassuntivo, ma corretto, chiaro e significativo.
Alcuni suggerimenti dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli su come parlare di fascismo nelle scuole, oggi.
Siamo convinti che ascoltare musica e leggere i testi delle canzoni sia per i nostri studenti un ottimo modo per imparare la lingua italiana. Soprattutto se parliamo di canzoni che hanno un significato molto particolare, come questa.
FREEDOM ONLY EXISTS IN THE PLURAL
Recalling…
School year 2018/2019, secondary building, April 25th, (History?)
Today is April 25th, a Thursday.
I thought at length about how to explain my students why today is such an important holiday for our Italy which, day by day, labour by labour, word by word keeps becoming theirs, too.
I had thought about a lesson with shock value, to let them understand what we freed ourselves from. Enter the classroom raising my voice immediately to impose silence and scare them… but my voice will never be harsh enough to express what the voice of fascism must have been.
Often, during our classes, there will be a debate with some students about the subject. I enjoy using a portion of time this way, as this is the best method to learn a language. This is true at every latitude: when you want to defend an opinion you try hard to find your words, more than what you would do during a grammar exercise. When we debate the students want to be understood clearly, they give importance to nuances, they believe in the strength of their statement.
This time, however, I may kill the debate, vomit aggressions against whoever dares express their opinion, banish from the classroom and humiliate whoever says something that goes against my beliefs. But no, not even this would be enough.
Therefore, I find myself entering a classroom with no ideas. I recount what has happened, as if it was a normal History class. Mussolini, Matteotti, censorship, racial laws, the alliance with Hitler, World War II, the Resistance, Loreto plaza in Milan. What’s the harm – I think to myself – so many years have passed, why would they even be interested?
But my students are indeed interested. They listen, they debate amongst themselves, they intervene, they ask questions. They want to know more, understand more.
And they talk. Someone, unstoppable like a flooding river, talk about their home nation: the government barging into houses, looking under the beds, in the closets, listening, seeing everything, making children tell on the parents, wives to tell on husbands, teachers like me reporting on the students. There is a police spy in every building, every village, every production plant, in every farm; in every phone call there is always a third party.
My students want to talk and finally they can do so. There are no major speeches, no Nobel Prize for Peace material, no words that may be deemed worthy to end up on schoolbooks. They say that being free means have the freedom to be protagonists of their own simple, ordinary days: speak, think, meet people, study, have opinions, complain, choose a job… Actions that seem obvious, even given for granted, I know I do.
They say that they are only really being free if they are in ordinary tasks. For example, shop for groceries, wait for the bus, go out with friends, go on vacation; dress up, fall in love.
They say that I cannot be free if the people close to me are not. Freedom exists only in the plural, never as a singular concept: we are free, otherwise I will never be. On my own, I have no use for my freedom: I will have no one to talk to, no one to fight my fights with, no one to debate and argue with to shape my own opinions and my ambitions.
There are no extraordinary speeches, but there is the beauty of the ordinary. My students speak and simply say words which they feel like saying. Words that cannot be spoken in their own language. The fact that they are now doing so in Italian: I like to think that the partisans would have liked that.
I do not intervene today; I don’t think they even need me. Many of my students have fled the fascism that grips their homeland and tears apart the society they were born in. They already know why it’s important to celebrate the Liberation.
Democracy. It is a difficult word to explain to beginners in the Italian language. I do not think it is necessary to explain it derives from ancient Greek, which refers to a particular government style, implying a complex system of popular voting and parliamentary passages: democracy, coming from a dictatorship culture, is crystal clear.
Here the Encyclopaedia Britannica explains what Fascism was in Italy.
The Fascist violence became ordinary. A book.
Our Liberation day.
Here the words of the song 'Bella ciao', both in Italian and English version.
This song has recently made famous by the popular Spanish tv serie 'La casa de papel' (Money heist). I'm not sure it's a correct use for such a song, but that's ok!!
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