Ricordando…
Anno scolastico 2017/2018, sede centrale, aprile (Gita)
Oggi andiamo in gita. Noi insegnanti abbiamo organizzato una giornata insieme agli studenti per visitare il centro di Milano: dal Duomo alla Galleria, con Palazzo Madama, la Scala, il Castello e per chi vuole e può anche la Pinacoteca di Brera.
È una giornata di primavera fresca ma soleggiata, piacevole. Ci incontriamo alle 14 davanti all’ingresso della scuola, poi insieme andiamo in piazza Duomo. Aspettiamo i cinque studenti che sono venuti a piedi: per loro anche il costo di un biglietto della metropolitana è un lusso proibitivo.
Avevamo proposto di offrirlo noi insegnanti. Ma: “Grazie, no”, è stata la secca risposta. Inutile insistere. Sono ormai otto mesi che incontro la dignità dei miei studenti ogni giorno, in classe, e perciò non mi stupisco.
Abbiamo organizzato questa gita accordandoci in corridoio ieri, dopo la fine della lezione. Non è stato necessario chiedere il permesso a nessuno, perché io sono la più giovane della compagnia (e sono maggiorenne!). Tra gli studenti, qualcuno è davvero contento che non sia stato necessario chiedere il permesso a nessuno. Contento, anzi contenta!
S. ha 29 anni e un matrimonio di 13 anni alle spalle. Ha resistito a lungo prima di concedersi in moglie, mi dice. È nata sulle rive del Lago Kivu, in Ruanda. In una famiglia cristiana, cattolica. Mi racconta il perché della sua felicità mentre ci mettiamo in coda sul sagrato del Duomo.
Aveva solo 12 anni quando le è stato comunicato il nome di quello che sarebbe diventato suo marito. Si sentiva fortunata: il promesso sposo si poteva ancora definire un uomo, non un vecchio.
In questi mesi ho imparato a conoscere in lei un carattere combattivo, fiero, indipendente. Infatti, mi racconta di come, ancora ragazzina, si è opposta al matrimonio forzato. È fuggita poco prima della celebrazione e si è nascosta per un paio di giorni tra le montagne del Ruanda.
Sono stati i familiari di lui a ritrovarla. Non mi dice come l’abbiano salutata.
Le hanno riproposto il matrimonio. Lei ha rifiutato di nuovo. L’hanno lasciata in pace per un po’ di tempo.
Poco tempo. Il promesso sposo è tornato da lei con regali che lei non ha nemmeno guardato.
“Grazie, no”.
Lui allora ha preso a minacciarla. Non mi dice che l’abbia picchiata mai, però senza guardarmi spiega che il fatto che lui fosse ancora piuttosto giovane aveva smesso di essere una bella notizia: era forte.
Non riuscendo a spaventarla, alla fine l’uomo le aveva fatto l’unica promessa che lei desiderava davvero: un viaggio in Italia.
“Ci sposiamo, poi ti porto su”.
Ma aveva mentito.
Lei aveva acconsentito a sposarlo, nonostante la repulsione che provava per lui. E lui l’aveva murata in casa. Non è un modo di dire. L’aveva costretta a rinunciare a tutti i suoi contatti con la propria famiglia, con gli amici, e perfino con gli uomini della famiglia del marito. Le era permesso parlare solo ad alcune delle donne, mogli-schiave come lei.
Il marito le rivolgeva la parola solo per dirle di spogliarsi, alla sera. Voleva un figlio da lei. La prendeva senza il suo consenso, ogni notte, anche quando lei faceva finta – o non faceva finta affatto – di stare male.
Eppure il figlio non era arrivato. Il marito si arrabbiava con lei, le dava la colpa, la accusava di prendere la pillola di nascosto.
“L’avrei presa, se avessi potuto. Ma non sapevo come procurarmela. Sono solo stata fortunata perché nessun bambino ha voluto nascere dentro di me”, spiega S.
Sempre la stessa violenza, ogni notte, per 13 anni. Le altre donne le suggerivano di pensare ad altro, di chiudere gli occhi, di sforzarsi semplicemente di restare incinta… perché quello era il suo dovere e l’unica speranza di calmare il marito.
Ma lei non si arrese.
Riuscì a convincere il marito che Dio non voleva concedergli figli perché lo stava punendo di non aver mantenuto la promessa fattale prima del matrimonio, quella di andare in Italia. L’ignoranza a volte gioca nel campo della giustizia: lui le credette.
Nel frattempo la coda per entrare in Duomo scorre, e noi con lei. Siamo quasi arrivati davanti ai due soldati che controlleranno che nessuno di noi nasconda un qualche pericolo. Due studentesse indossano il velo sui capelli, sono musulmane come molti altri compagni maschi. Nessuno ha nulla da ridire, e credo che il primo a non aver nulla in contrario sia colui per il quale la chiesa è stata costruita.
Stiamo ormai entrando. S. ha appena il tempo per sussurrarmi frettolosamente la fine della sua storia:
"Appena siamo arrivati in Italia, io mi sono nascosta e mi sono allontanata da mio marito. Voglio essere libera, voglio avere una vita mia. Non voglio dover chiedere a lui il permesso per tutto, come per venire qui con voi, oggi. Non gli ho detto neanche che mi sono iscritta a scuola. Il diploma mi serve per trovare un lavoro e mantenermi con le mie forze, senza più dipendere da lui. Chiederò il divorzio. Voglio scegliere la mia vita”.
È la fine della sua storia. È l’inizio della sua storia.
I CHOOSE MY OWN LIFE
Recalling…
School year 2017/2018, central building, April (Field trip)
Today we are going on a field trip. The teachers planned a day of activities with the student visiting the city centre of Milan: from Duomo to the Gallery, Palazzo Madama, the Scala, the Castle and, those who desire and can afford, also visit Brera’s art gallery.
It’s a cool but sunny Spring day, very pleasant. We meet at 2 pm in front of the school, then we go together to the Duomo. We wait for the five students who came by foot: to them, even the price of the metro ticket is too expensive.
We teachers offered to pay for it. “Thanks, but no” was their sharp reply. No use insisting on it. I’ve met my students’ dignity every day in class for the past eight months, therefore I’m not surprised.
We planned this trip yesterday, in the corridor, after class. We didn’t need anybody’s permission, as I am the youngest of the group (and I’m over 18!). Among the students, a few are definitely happy that it wasn’t necessary asking for anybody’s permission!
S. is 29 and a thirteen-years long marriage on her shoulders. She resisted for a long time before agreeing to marriage, she says. She was born in Rwanda, on the shore of lake Kivu. In a Catholic family. She tells me about her happiness as we queue up in front of Duomo.
She was only 12 when she was told the name of her future husband. She felt lucky: he was still a man and not yet an old man.
During these months, I recognized in her a fierce, combative, independent character. In fact, she tells me how she opposed to this arranged marriage as a kid. She fled shortly before the celebration and hid for a few days in the mountains of Rwanda.
It was her betrothed’s relatives who found her. She doesn’t speak of the way she was greeted by them.
They proposed her the wedding once again. She refused again. They let her be for a while.
A short while. Her betrothed came to her with gifts she didn’t even look at.
“Thanks, but no”.
He then started to threaten her. Sha doesn’t say if she ever hit her, but she explains that his being young wasn’t such good news anymore: he was strong.
Not managing to scare her, the man resorted to the only promise that could sway her: a trip to Italy.
“We’ll get married, then I’ll bring you there”.
He lied.
She agreed to marrying him, despite the repulsion she felt towards him. And he locked her in the house. He made her give up every contact with her family, friends and even the men in her husband’s family. She was only allowed to talk to some of the women, slave-wives like her.
Her husband only spoke to her to tell her to get naked, at night. He wanted a child from her. He took her without her consent, every night, even when she pretended – or didn’t pretend – to be sick.
But the child didn’t come. The husband would get angry at her, blamed her of secretly using contraceptives.
“I would have taken the pill, if I could. But I didn’t know where to buy it. I was lucky because no child wanted to be born in me”, S. explains.
The same violence, every night, for 13 years. Other women suggested to think about something else, close her eyes, to simply try to get pregnant… As that was her duty and her only hope to placate her husband.
But she didn’t give up.
She managed to convince him that God wouldn’t give him a child because he had not kept the promise he made her before marriage, of going to Italy. Sometimes ignorance plays in the field of justice: he believed her.
In the meantime, the line to enter the Duomo is advancing and we are as well. We are almost in front of the two soldiers who will check us for any threat. Two students are wearing the hijab, they are Muslim like many of their male classmates. No one has any problem with that, and I believe the first to be ok with it would be the one this very church is dedicated to.
We are about to go in. S. barely has time to whisper the end of her story:
“As soon as we came here, I hid and got away from my husband. I want to be free, have my own life. I don’t want to have to ask for permission for everything, like coming here with you today. I didn’t even tell him I am in school. I need the diploma to find a job and provide for myself, without being dependent on him. I will file for divorce. I choose my own life”.
This is the end of her story. This is the beginning of her story.
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